Ci sono riuscita! Oggi è l’ultimo giorno di ottobre e non poteva mancare l’intervista con un Valdostano nell’ambito del mio progetto La Valle d’Aosta agli occhi dei Valdostani dove invito le persone che vivono in Valle a raccontare la regione come la vedono loro.
Questa volta però è un po’ particolare. Risponde alle mie domande Lucia, un’archeologa arrivata in Valle dalla Calabria. Lavora presso una delle più grandi società di scavi archeologici in Italia Akhet srl. Ci siamo conosciute a fine settembre quando sono andata a fare la visita guidata con lei presso la necropoli fuori porta decumana ad Aosta durante la settimana Plaisir de culture. Da subito ho capito la sua passione per la storia e le ho chiesto la disponibilità per un’intervista. I miei lettori Polacchi amano non solo la montagna, ma sopratutto l’Italia e quindi non potevo far scappare una tale occasione! Lucia è stata molto gentile e disponibile, ci siamo viste all’inizio di ottobre e non ci siamo limitate a parlare ne della storia ne della Valle d’Aosta.
Buona lettura!
Raccontaci un po’ di te e perché hai scelto di studiare archeologia?
Ho 32 anni, sono originaria di Reggio Calabria. Fin da piccola ho avuto una grande passione per la storia e l’archeologia. Me l’ha trasmessa mio papà che si occupava di restauri per i beni ecclesiastici e lavorava nel campo della cultura. Grazie a lui ho sempre avuto la voglia di conoscere meglio il mondo antico. Così ho scelto di studiare Beni Culturali a Messina e dopo ho seguito anche un corso di specializzazione in Archeologia Classica a Roma. In questi anni mi sono specializzata nello studio del materiale ceramico, in particolare di epoca romana, che è una mia grande passione.
E’ difficile al giorno di oggi trovare lavoro come archeologo in Italia, uno dei paesi con la maggiore concentrazione di patrimonio storico e artistico, ma anche con la disoccupazione alle stelle?
Nonostante l’Italia sia un paese estremamente ricco di testimonianze del passato, è molto difficile per noi archeologi trovare lavoro. In realtà il mio è un caso un po’ particolare perché già ai tempi dell’università, quando ancora studiavo, ho avuto la fortuna di conoscere la società per la quale lavoro ancora oggi che mi ha fatto crescere professionalmente e umanamente, dandomi la possibilità di imparare il mio mestiere con dei veri e propri professionisti del settore.
Per la maggior parte dei miei colleghi universitari non è stato così, soprattutto per quelli che, per scelta, sono rimasti in Calabria. Infatti, la situazione è anche molto diversa tra nord e sud della penisola. Il sud dell’Italia è poco esplorato dal punto di vista archeologico. Ci sarebbe molto più lavoro rispetto al nord, ma naturalmente scarseggiano le risorse per gli scavi archeologici e soprattutto per lo studio di quello che si scava. Per questo motivo al sud difficilmente un archeologo riesce a lavorare tutto l’anno, specialmente se giovane e appena laureato. Al nord, dove le cooperative e le società archeologiche non mancano, gli archeologi non trovano grossi difficoltà a lavorare tutto l’anno. Questo è anche dovuto al cambiamento della normativa in materia di edilizia in generale e in investimenti pubblici. Qualsiasi tipo di lavoro, che sia pubblico o privato, che preveda uno scavo, tipo una casa o un parcheggio, obbliga il committente a depositare il progetto di lavori presso l’Ufficio competente per i Beni Culturali. La Soprintendenza valuta il rischio archeologico per tale scavo ed eventualmente impone il supporto dell’archeologo.
Sicuramente una zona dell’Italia dove non manca il lavoro per gli archeologi è Roma, per ovvi motivi.
Dopo il tuo percorso di studi hai avuto le difficoltà a inserirsi nel mercato del lavoro?
No. Nel 2003, al II anno dell’università, ho cominciato una collaborazione con la società Akhet srl, per la quale lavoro tutt’ora. Inizialmente erano i piccoli lavori in Calabria e dopo l’università anche un paio di anni a progetto per gli scavi e gli studi in Umbria, Basilicata (Matera), Sicilia (Palermo), Roma (Ostia Antica) e anche due volte in Valle d’Aosta: per la prima volta due mesi nel 2006 e la seconda nel 2007. Poi nel 2009 mi hanno proposto un contratto a tempo indeterminato con il trasferimento stabile ad Aosta che ho accettato.
In che cosa consiste il lavoro di un archeologo? Io ho in mente i film di Indiana Jones 😉 .
Il lavoro di un archeologo non è quello di trovare oggetti preziosi (come Indiana Jones!). L’archeologo è un esperto del mondo antico a 360°: l’archeologo lavora sul campo, effettua gli scavi con un metodo che è chiamato „stratigrafico” che consente di sfogliare la terra strato dopo strato e di raccoglie tutte le informazioni relative ad ogni periodo storico. Poi subentra il lavoro specialistico: esistono diverse specializzazioni nel campo dell’archeologia. Si parla infatti di archeologia preistorica, classica, medievale, anche moderna/industriale, subacquea, sperimentale, ecc. Ogni archeologo tende a specializzarsi in un periodo in particolare (non si può pretendere di conoscere tutto!) e in un settore particolare. C’è per esempio chi si occupa solo dello scavo archeologico, chi dello studio del materiale ceramico e della cultura materiale, chi ancora dello studio dei resti ossei e così via.
Spesso i risultati dei lavori vengono descritti nei Bollettini archeologici della Soprintendenza, destinati agli addetti ai lavori oppure, se ci sono le risorse e l’opportunità, anche nelle pubblicazioni destinate al grande pubblico.
Per un archeologo ci sono differenze se si lavora al nord o a sud dell’Italia?
Io mi occupo della storia romana e quindi per me è uguale se lavoro a sud dell’Italia oppure al nord. Ci sono gli aspetti pratici che non sono da sottovalutare: da Roma in su esistono diverse società e cooperative, al contrario al sud ancora si lavora come liberi professionisti. Personalmente penso che il lavoro di squadra faccia la differenza. Lavorando per una società archeologica ben strutturata ho la possibilità di dedicarmi ai diversi aspetti dell’archeologia. Non solo lo scavo archeologico ma anche lo studio specialistico e, ultimamente, la divulgazione con i bambini e gli adulti. Con la società abbiamo la possibilità di partecipare a gare e appalti pubblici in tutto il territorio nazionale ma la maggior parte del lavoro per il momento è al nord tra Valle d’Aosta e Piemonte. Questo è un peccato perché, senza voler togliere nulla alle regioni settentrionali della penisola, la storia del Sud è più ricca e quindi anche il lavoro per alcuni sarebbe più interessante. La storia è diversa, le popolazioni sono diverse. Al sud dell’Italia dopo l’epoca del ferro c’è tutto il periodo della Magna Grecia prima dell’arrivo dei Romani. Essendo originaria della Calabria trovo più interessante la storia di giù.
Ci sono state grandi scoperte archeologiche negli ultimi anni in Italia e in Valle d’Aosta? Quello che si scopre viene valorizzato successivamente?
In Italia praticamente tutti i giorni ci sono delle scoperte archeologiche per i motivi che abbiamo detto sopra: qualsiasi tipo di scavo edilizio pubblico o privato nella zona a rischio archeologico porta alla luce qualche pezzo di storia. Purtroppo spesso vi è la tendenza a non divulgare quello che si trova. Non sempre il committente non è il Ministero dei Beni Culturali che effettua gli scavi per conto suo, ma il Ministero delle Opere Pubbliche per la realizzazione degli investimenti pubblici o privati cittadini. Quindi non sempre è interesse del committente divulgare le informazioni che potrebbero rallentare o bloccare gli investimenti. Che non vuole dire assolutamente che quello che si trova non va protetto, ma solo che non c’è la prassi di divulgare i risultati al grande pubblico.
Per quanto riguarda la Valle d’Aosta, in questi anni sono stati svolti alcuni lavori in Piazza Roncas che hanno portato alla luce i resti romani, in particolare due torri, la porta principale sinistra che è visitabile negli scantinati del MAR, un tratto della strada romana e un edifico all’ingresso della città.
Nei lavori del nuovo ospedale si è scavato fino a 7 metri trovando le testimonianze di 3000 anni a.c. dell’epoca del bronzo, del ferro, dell’Impero romano. Togliendo ogni strato di terra si trovavano le prove di ogni epoca, e così abbiamo portato alla luce le superfici di campagna, le tracce dell’aratro, vari sistemi di canalizzazione per irrigare i campi, le impronte di adulti, bambini e animali. E’ stato davvero molto emozionante lavorare in questo cantiere.
Abbiamo accennato il problema di valorizzazione del patrimonio storico, archeologico e culturale, secondo te in Italia si valorizza abbastanza?
In Italia ci sono tantissimi beni di rilevanza culturale e forse sono addirittura troppi per le capacità di gestione dello Stato e delle Regioni, visto che nella maggior parte sono a gestione pubblica. Non si valorizza abbastanza perché, non sempre, si capisce l’importanza di quello di cui dispone Italia. Il nostro paese potrebbe vivere solo di turismo culturale, ma scarseggia l’esperienza di buona gestione anche attraverso i privati che fanno fruttare meglio il patrimonio.
Come esempio porto Pompei o Ostia Antica, due splendidi posti che sono gestiti dal settore pubblico e questo si vede. Non sono pienamente sfruttati dal punto di vista turistico perché lo Stato e le Regioni non hanno le risorse a sufficienza. Per loro questi siti non sono a scopo economico quindi il potenziale non viene tirato completamento fuori.
Invece Ercolano, un altro sito di rilevanza archeologica che assieme a Pompei è stato seppellito dai ceneri del Vesuvio nel 79, ed è conservato anche meglio di questo ultimo, è gestito dai privati attraverso Herculaneum Conservation Project. Un progetto fondato dall’americano David W. Packard, Presidente del Packard Humanities Institute, una fondazione filantropica, con lo scopo di sostenere lo Stato Italiano, nella sua azione di salvaguardia di questo fragile sito archeologico.
Inoltre è difficile sostenere i progetti di valorizzazione culturale a livello nazionale. Ci sono tantissime realtà che potrebbero essere messe in comune e lavorare assieme, ma purtroppo ognuno lavoro per se stesso. In Italia lavorare in rete non è una prassi.
Recentemente sei diventata anche guida turistica per la Valle d’Aosta, hai qualche progetto in mente?
E’ un percorso che ho intrapreso personalmente, ma anche in accordo con la società Akhet per la quale lavoro. Si tratta di nuove opportunità per l’organizzazione di visite guidate per gli abitanti e turisti, laboratori didattici per i bimbi delle scuole della regione. Il tutto per divulgare la storia locale e far conoscere il lavoro dell’archeologo.
Quindi per te è molto importante sensibilizzare la popolazione?
Molto! E’ importante per noi oggi conoscere la storia di chi c’era prima di noi. La storia ci insegna tutto.
Per gli appassionati di archeologia che cosa consigli visitare in Valle d’Aosta?
Città di Aosta in quanto si è conservata tutta la struttura di una città romana con le sovrapposizione di successive epoche. I pezzi della Via delle Gallie, vecchia strada romana e l’acquedotto romano Pont d’Ael.
Sei arrivata in Valle d’Aosta nel 2006, ma abiti qui in modo stabile dal 2009, ti piace? Dal mare alla montagna forse non è stato facile?
Si, mi piace la Valle d’Aosta. La qualità di vita è buona. Però in ogni caso mi manca il mare e il caldo della Calabria. Devo ammettere che non ho imparato a sciare.
Ultima domanda come sempre la faccio su come sono i valdostani secondo te?
Non conosco tanti veri valdostani, ma quei pochi che conosco mi piacciono, sono molto disponibili anche se è difficile conquistarli. Però una volta conquistati daranno l’anima per te.
Per le bellissime foto della Calabria, che mi hanno fatto venire voglia di mare (!) ringrazio la mia amica virtuale Aneta di Hello Calabria.
Le altre interviste con i Valdostani le potete leggere qui:
– Alex dalle Alpi ai Tatra
– Carlo e 330 km di passione
– Ugo e Rossana in pensione non c’è tempo per annoiarsi
P.s. Un paio di giorni fa ho incontrato Gianluca Arcaro, il miglior sommelier della Valle d’Aosta del 2015, che ho intervistato. E si! Sarà lui il protagonista dell’appuntamento di novembre :-).
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